100 anni fa l’Europa entrava in Guerra con l’inutile strage che avrebbe causato oltre 17 milioni di vittime: il 28 luglio 1914 l’impero Austro-Ungarico dichiarava guerra alla Serbia. L’Italia sarebbe entrata nel conflitto solo il 23 maggio 1915, quando molti “italiani” erano già al fronte e qualche migliaio erano già caduti.
Trieste allo scoppio del conflitto era il più grande porto dell’Impero Asburgico e furono circa 25.000 i sudditi della Corona d’Austria arruolati nel K.u.K. Heer (Imperial Regio Esercito Comune). Molti furono anche i volontari di lingua italiana e circa 3.000 tra ufficiali e sottoufficiali. Il più famoso reparto con coscritti di lingua italiana fu il 97° reggimento di fanteria "Georg Freiherr von Waldstätten" che ebbe il battesimo del fuoco nei pressi di Leopoli (Galizia), dove, tra agosto e settembre 1914 perse il 50% degli effettivi.
La storia poi ebbe il suo corso e gli italiani in divisa asburgica divennero “irridenti” con una serie eroismi e di tragiche vicissitudini proprie – e ancora attuali – di quelle popolazioni di confine, il cui passaporto e l’uniforme nella quale morirono dipesero da un tratto di penna su una carta geografica.
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Finita la guerra Trieste divenne Italiana nel giubilo generale e il ricordo dei soldati “italiani”, caduti con la divisa imperiale, fu rimosso dalla memoria collettiva anche in virtù di un patriottismo fascista che vedeva nell’impeto vittorioso del primo conflitto la motivazione stessa del proprio esistere. Ma oggi Trieste è una nobilissima città, a cavallo tra la cultura europea occidentale e quella slava orientale, che faticosamente cerca di dimenticare le ferite delle due guerre, con lo strazio delle foibe e il pianto dei rifugiati istriani. Il tempo è il miglior dottore delle ferite del passato quindi, dopo 60 anni – nel 1954 l’amministrazione civile passò all’Italia con il Patto di Londra - le fratture della pace con la Jugoslavia e l’abbandono delle zone di confine sono sopite anche se non del tutto dimenticate.
Trieste mantiene ancora quella veste Austro-ungarica di bell’epoque d’inizio ‘900 in molti palazzi, piazze, strade e monumenti, quasi a perenne monito alla inutilità delle lotte umane rispetto al perdurare della cultura e della civiltà. Da primo porto imperiale, oggi quello di Trieste, con 56 milioni di tonnellate di merci, è il primo porti italiano per merci in transito, rimanendo comunque la porta d’ingresso del centro Europa e per paesi come Slovacchia, Repubblica Ceca, Slovenia con ancora Austria e Ungheria come lo era 100 anni fa quando divampò il conflitto.
Le prime popolazioni illiriche di stirpe indoeuropea, probabilmente spinte dall’ultima grande glaciazione, si spinsero dalle pianure asiatiche verso ovest e raggiunsero la Grecia e i Balcani fino al mare Adriatico e oltre. In perenne lotta con i Greci e i Romani, gli Illiri – molto battaglieri – sembra furono i primi abitanti di Targeste (o Targestum latinizzato) e si fusero con i “Venetici” locali popolando tutta l’area del nord-est, dal fiume Adige a Spalato. Sono ancora molti i resti pre-romani e molte di più le vestigia romane dopo la colonizzazione vera e propria che ebbe inizio con Giulio Cesare, dopo le prime guerre galliche nella pianura padana. Un castro romano imprendibile fu costruito dove oggi c’è il castello di San Giusto a protezione della pianura e del porto dalle invasioni barbare dell’Est.
Alla caduta dell’Impero Romano Trieste divenne Bizantina e nel 788 territorio dei Franchi di Pipino il Breve e poi Carlo Magno. Nei secoli a seguire non si piegò alla vicina potentissima Venezia da cui fu conquistata solo nel 1369 a seguito di un insanabile conflitto con l’Arciduca Asburgo Leopoldo III, in perenne guerra con la Repubblica di San Marco. La città però, tra alterne vicende, mantenne una relativa autonomia sia da Venezia sia dagli Asburgo, fino a diventare, nel 1719, porto franco e unico vero sbocco marittimo-commerciale dell’Impero Austro-Ungarico, a 500 chilometri da Vienna e Budapest.
Già nell’epoca “imperiale”, Trieste è stata una città cosmopolita, multietnica e multi religiosa, ponte culturale tra l’est slavo, il nord mitteleuropeo e l’ovest latino e il sud mussulmano. Ancora oggi la sua particolarità permane e la città, prezioso diadema sulla cima del Mare Adriatico, faticosamente si affranca, pur fra tante contraddizioni, dai resti portuali del secolo scorso, con i depositi di carburante e le vecchie raffinerie, cercando nell’ambiente e nella salvaguardia del golfo, un nuovo sviluppo turistico e culturale. Essendo zona di confine la politica dei prezzi bassi di carburante per gli abitanti locali – per limitare il rifornimento nella vicina Slovenia – ha penalizzato l’utilizzo del GPL e del metano, ma il GPL e il metano erano e sono solide realtà usate davvero ecologicamente dai Giuliani, mentre molti sono gli Sloveni a passare la frontiera friulana per rifornire le loro auto a gas.
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